Etica sportiva / Utilizzo della paura di perdere
È giusto, per avere più attenzione e stimolare l’impegno, creare paura di perdere? Nello sport, la qualità della prestazione e il livello di rendimento dipendono dalla lucidità, dal piacere del gioco, dalla capacità di dirigere e mantenere costante l'attenzione, dalla consapevolezza di sapere impiegare tutte le proprie risorse, dalla padronanza della situazione e dalla certezza di essere apprezzati per l’impegno. L’ansia, la paura e l’attesa carica di affanno, invece, sono stimoli negativi e difficili da controllare. Rendono l’atleta poco lucido, attento più a non sbagliare che a creare, gravato da una condizione emotiva e psicologica che lo frena o lo fa andare oltre il lecito, non pronto a impiegare tutte le risorse, insicuro o non consapevole e padrone dei propri mezzi, estraneo alla situazione e incapace di controllare le difficoltà della gara e di trasformare tutte le energie in prestazione. Creare nervosismo non è utile alla prestazione. Tenere in ansia i giocatori fino all'ultimo senza comunicare la formazione, per esempio, non mantiene alta la carica agonistica e non evita avere cali di tensione. Si fa per evitare che quelli che giocheranno si sentano troppo rassicurati e allentino l'impegno, e che gli esclusi si abbattano, si adagino o boicottino durante gli allenamenti o nello spogliatoio. Alla fine, occorre prendere confidenza con un concetto. Chi ha bisogno di un intervento esterno per fare qualcosa che dipende da lui, non può che essere un esecutore in attesa di ordini, mentre lo sport vero è entusiasmo, creatività e iniziativa di una mente libera.
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